Napoli, semplicemente un modo di vivere
“Siehe Neapel und stirb!” (“Vedi Napoli e poi muori!”).
Dal 3 settembre 1786 al 18 giugno 1788 il poeta tedesco Johann Wolfgang von Goethe intraprese un lungo viaggio lungo la nostra penisola, da Trento alla Sicilia, viaggio che raccontò in Italienische Reise (Viaggio in Italia). Tra tutte le città italiane che ebbe modo di visitare, però, fu Napoli (Barocco napoletano) a colpirlo maggiormente: “Napoli è un paradiso, ognuno vive in una specie di ebrezza e di oblio di se stesso! […] qui si desidera soltanto vivere. Ci si scorda di noi e del mondo”. A Napoli, infatti, Goethe trovò una città economicamente ricca, un ambiente culturale stimolante, un incredibile patrimonio artisticoe sempre a Napoli Goethe poté accantonare i formalismi cui era abituato, apprendendo l’arte del vivere senza preoccupazioni (“senz’affanni”).
La frase “Vedi Napoli e poi muori” fu dunque il suo modo per celebrare questa città, la sua gente, la sua storia, la sua infinita bellezza.
Napule è mille culure
Napule è mille paure
[…]
Napule è nu sole amaro
Napule è ardore e’ mare
Napule è na’ carta sporca
E nisciuno se ne importa
[…]
Napule è na’ camminata
Int’e viche miezo all’ate
Napule è tutto nu suonno
E a’ sape tutto o’ munno
Ma nun sanno a’ verità
[…]
(Pino Daniele, Napule è, 1977)
Napoli è un modo di vivere: quello che in altre città potrebbe sembrare impossibile, qui non lo è. Questa città ti colpisce dritta al cuore: osservi il suo golfo e ritrovi tutta la poesia delle canzoni che l’hanno celebrata nel tempo; passeggi per il centro storico e i colori e i suoni della tradizione ti circondano immediatamente; ovunque ti volti, un edificio o una piazza ti raccontano la storia di una città che nei secoli ha conosciuto i fasti del regno e poi un lento e malinconico declino. Ecco quello che la rende unica: Napoli è affascinante e contraddittoria ed è praticamente impossibile restarle indifferenti: o la si ama o la si odia, non ci sono vie di mezzo.
Uno dei simboli di Napoli è Castel Nuovo meglio noto come Maschio Angioino. Il nucleo più antico della fortezza risale al 1266 quando Carlo I d’Angiò, sconfitti gli Svevi, salì al trono e trasferì la capitale del suo regno a Napoli.
Il re volle fortemente questo castello imponente e maestoso perché avrebbe dovuto vegliare sulla città in quanto Castel dell’Ovo era ormai obsoleto. Per tale motivo incaricò l’architetto Pierre de Chaule che in soli cinque anni realizzò il Château Neuf (Castello Nuovo) che diventò ben presto la nuova dimora dei regnanti. Il suo nome “Maschio Angioino” è riconducibile al termine fiorentino “mastio” che in epoca medievale indicava una struttura con più torri, elementi architettonici estremamente utili in caso di attacchi nemici.
Quello che si vede oggi è in realtà il risultato di una stratificazione di interventi avvenuti nel corso di diversi secoli: sopravvive solo la Cappella Palatina risalente al 1307 e inglobata nel cortile del castello.
Elegante e imponente, laGalleria Umberto Ifu realizzata tra il 1887 ed il 1890 in onore del re sabaudo che, durante l’epidemia di colera che colpì Napoli nel 1884, si prodigò personalmente nei soccorsi: questa sua generosità gli valse il soprannome di “Re Buono”.
Nel XVI secolo l’area su cui sorge la Galleria era molto urbanizzata ed era piuttosto malfamata: qui, infatti, si trovavano taverne e case del malaffare e non erano rari gli episodi di criminalità. La situazione degenerò ulteriormente nel corso del XIX secolo quando le condizioni igieniche divennero talmente gravi che tra il 1835 ed il 1884 si verificarono ben nove epidemie di colera! Nel 1885 cominciò il cosiddetto “periodo del risanamento” che portò finalmente alla rinascita dell’area: è in questo contesto che il 5 novembre 1887 fu posata la prima pietra della Galleria Umberto I.
Con una superficie di circa 25.000 metri quadrati, Piazza del Plebiscito è una delle più grandi d’Italia. Nonostante a metà del Cinquecento esistesse già un abbozzo di piazza, la storia di Piazza del Plebiscito ebbe inizio con la realizzazione del Palazzo Reale: infatti, l’area antistante l’edificio, a quei tempi poco più di uno slargo, divenne rapidamente il centro vitale della città, attraendo soprattutto nobili e aristocratici.
Nel corso dei secoli furono attuati diversi progetti volti a creare una vera e propria piazza mafu solo ai primi dell’Ottocento che Gioacchino Murat, il generale francese nominato Re di Napoli nel 1808 da Napoleone Bonaparte, diede un nuovo volto alla piazza. L’idea del sovrano era quella di dare vita ad un’opera architettonicamente grandiosa, una “Grande e pubblica piazza” che si sarebbe chiamata “Foro Gioacchino”. I lavori proseguirono fino al 1815, anno della morte del re. Quando il suo posto fu preso da Ferdinando IV di Napoli, la realizzazione del Foro Gioacchino venne abbandonata e al suo posto sorse il “Foro Ferdinandeo”. Il nome attuale della piazza fu scelto dopo l’annessione del Regno delle Due Sicilie al Regno d’Italia avvenuta, appunto, col plebiscito del 21 ottobre 1860.
Una delle zone più pittoresche (e veraci) di Napoli è quella di Via San Gregorio Armeno, strada del centro storico cittadino a ridosso dei controversi Quartieri Spagnoli, resa famosa dai suoi presepi: passeggiare lungo questa via è sì una tradizione natalizia irrinunciabile per i Napoletani che vogliono costruire o ampliare il loro presepe ma è anche una tappa obbligata per chiunque visiti la città. Infatti, le botteghe artigiane sono attive tutto l’anno ed è possibile acquistare una statuina (o un pezzo di “arredo” per il presepe) in qualsiasi periodo dell’anno.
La tradizione presepiale di San Gregorio Armeno è secolare e il mestiere dell’artigiano del presepe viene tramandato di generazione in generazione. Caratteristica inconfondibile del presepe napoletano è quella di essere una miscela perfetta di sacro e profano: ecco, quindi, ogni anno i maestri artigiani aggiungono alle figure della tradizione quelle dei personaggi dello spettacolo, dello sport o della politica assurti agli onori della cronaca. Insomma, la tradizione napoletana del presepe è più che mai al passo con i tempi!
Nonostante nella realtà siano divisi da poche centinaia di metri, Via San Gregorio Armeno e il Complesso Monumentale di Santa Chiara sembrano trovarsi in due città diverse.
L’antico Complesso Monumentale di Santa Chiara fu voluto dai reali Roberto d’Angiò e Sancia di Maiorca e la sua costruzione, iniziata intorno al 1310, venne terminata nel 1328: si tratta di una sorta di “cittadella” costituita da due edifici, uno adibito a convento per le suore clarisse ed uno abitato dai frati minori francescani, realizzata in stile gotico provenzale, uno stile semplice e per questo assai diverso da quello di ogni altro edificio in città.
Nel 1742 l’architetto napoletano Domenico Antonio Vaccaro modificò la chiesa di Santa Chiara secondo il gusto barocco ma, dopo il bombardamento aereo degli Alleati del 4 agosto 1943 che la distrusse quasi completamente, la chiesa venne riportata all’antico splendore secondo lo stile originario. Se all’interno della chiesa non è purtroppo rimasto molto da vedere, il punto focale dell’intero complesso è invece rappresentato dal chiostro: anch’esso modificato dall’architetto Vaccaro, il chiostro è attraversato da due bei viali che dividono lo spazio in quattro settori.
Tra siepi di bosso perfettamente curate si innalzano pilastri maiolicati collegati tra loro da sedili sui quali sono dipinte, nei colori che ricordano la Costiera Amalfitana, scene di vita quotidiana dell’epoca. Bellissime le pareti ai quattro lati del chiostro, interamente ricoperte di affreschi seicenteschi raffiguranti allegorie, Santi e scene dell’Antico Testamento.
La zona collinare di Napoli indossa un “abito” diverso: qui, infatti, sorge l’elegante quartiere residenziale del Vomero, ricco di edifici in stile Liberty affacciati su bellissimi viali alberati e zone panoramiche da cartolina.
Domina la scena la possente mole del medievale Castel Sant’Elmo, eretto nel XIV secolo sull’area precedentemente occupata da una chiesa dedicata a Sant’Erasmo; realizzato in tufo giallo, il castello ebbe da subito una certa rilevanza strategica che lo rese un possedimento molto ambito: dai suoi 250 metri di altezza, infatti, Castel Sant’Elmo domina il Golfo di Napoli e tutta la città.
Dal Vomero al mare Napoli cambia nuovamente faccia: una lunghissima e ampia promenade sembra abbracciare la distesa blu sulla quale si specchia la città. E’ la Via Francesco Caracciolo, il lungomare cittadino dedicato all’ammiraglio napoletano, eroe della Repubblica Napoletana, morto nel 1799 per volontà di Horatio Nelson che lo fece impiccare all’albero maestro della Minerva, la fregata in servizio con la Real Marina del Regno delle Due Sicilie: il suo corpo, gettato nelle acque del Golfo di Napoli, riemerse alcuni giorni dopo proprio mentre re Ferdinando I si trovava in mare e fu così raccolto.
Il Lungomare Caracciolo, che corre fino a Mergellina, è separato dal mare solo da alcune scogliere artificiali che, nel tempo, hanno sostituito le antiche spiagge.
Sull’antico isolotto di Megaride spicca Castel dell’Ovo, l’elemento architettonico che spicca maggiormente nel panorama del golfo.
Megaride è l’isola minore del Golfo di Napoli: se in origine era separata dalla terraferma da un breve tratto di mare, oggi quest’isoletta costituisce di fatto un tutt’uno con essa. Secondo un antico mito, dopo essere stata rifiutata da Ulisse rimasto insensibile al suo canto, la sirena Partenope si gettò in mare in preda alla disperazione e il suo corpo fu trasportato dalla corrente fino a spiaggiarsi a Megaride in corrispondenza del luogo nel quale oggi sorge Castel dell’Ovo al cui nome sono legate le più diverse leggende.
La più fantasiosa racconta che il poeta Virgilio nascose un uovo magico all’interno di una gabbia nei sotterranei del castello, mantenendo il luogo rigorosamente segreto e protetto da pesanti serrature: quell’uovo era estremamente importante perché da esso sarebbe dipesa la futura sopravvivenza del castello e dell’intera città di Napoli. Quando nel XIV secolo la fortezza subì ingenti danni a causa di alcuni crolli, per scongiurare il rischio che si diffondesse il panico tra la popolazione, la regina Giovanna I si inventò un’ingegnosa bugia: assicurò infatti al suo popolo di avere sostituito l’uovo “magico” con un altro altrettanto “miracoloso”, salvando in tal modo Napoli e il suo castello.
Insomma, prima di essere una città Napoli è uno stato d’animo, un modo di vivere, un’attitudine: questa è la sua essenza! Goethe aveva proprio ragione: Napoli è una tappa imprescindibile. Non si può dire di avere realmente viaggiato per l’Italia senza avere visitato almeno una volta la città partenopea.