Dove oggi insiste un incredibile sito archeologico, quasi duemila anni fa viveva una città.
Raccontare l’antica Pompeii (come la chiamavano i Romani) è impresa non certo semplice ma straordinariamente emozionante.
Nel IX secolo a.C. i senatori romani, attratti dal clima mite e dalle terre fertili, cominciarono a spartirsi i territori attorno alla zona di Pompei, incontrando l’iniziale resistenza degli abitanti. Alla fine, però, nonostante la conquista romana, nella città di Pompei lo stile di vita non cambiò significativamente: infatti, accanto alla lingua ufficiale, il latino, si continuarono a parlare il greco e l’osco, così come le unità di misura rimasero, ancora per mezzo secolo, quelle in uso presso gli Osci. Un forte impulso alla “romanizzazione” avvenne con la salita al potere nel 27 d.C. dell’imperatore Ottaviano Augusto. Le famiglie patrizie portarono a Pompei nuove attività commerciali e ricchezze insieme a nuovi modelli artistici e architettonici. Fu così che Pompei divenne il luogo di villeggiatura prediletto dal patriziato romano.
Il 5 febbraio del 62 d.C. Pompei e tutta la zona circostante vennero colpite da un violento terremoto che provocò ingenti danni e crolli, con un impatto negativo sulla vita cittadina. Al trasferimento delle personalità più ricche in altre zone considerate più sicure, Pompei rispose con la nascita di un grande cantiere volto alla ricostruzione della città. Le ricchezze accumulate fino a quel momento dai Pompeiani favorirono la realizzazione di edifici lussuosi ed il restauro delle Regiones VI e VII, le zone a più alta densità residenziale.
In questo clima di fermento, nel 79 d.C. (non è ancora del tutto chiaro se il 24 agosto o il 24 ottobre) la violentissima eruzione del Vesuviopose fine all’esistenza di Pompei che venne letteralmente sepolta sotto una coltre di circa sei metri di materiale vulcanico.
“[…] Il nono giorno (prima delle) Calende di Settembre, all’incirca alla settima ora, la madre gli fa notare che sta apparendo una nube insolita per grandezza e aspetto. […] Si alzava una nube (per chi osservava da lontano era incerto da quale monte; dopo si seppe che era stato il Vesuvio), la cui somiglianza e forma nessun altro albero esprimeva meglio del pino. Infatti, elevata verso l’alto come da un lunghissimo tronco, si spargeva in alcuni rami […]” (Plinio Il Giovane, Epistulae VI 16) (“[…] Nonum Kal. Sept., hora fere septima, mater indicat ei apparere nubem inusitata et magnitudine et specie. […] Nubes (incertum procul intuentibus ex quo monte; Vesuvium fuisse postea cognitum est) oriebatur, cuius similitudinem et formam non alia magis arbor quam pinus expresserit. Nam longissimo velut trunco elata in altum, quibusdam ramis diffundebatur […]”)
L’eruzione fu talmente intensa da modificare addirittura la linea di costa, che si allungò verso il mare. La città di Pompei cessò definitivamente di esistere e non venne mai più ricostruita, scomparendo ricoperta dalla vegetazione che negli anni a venire ricoprì l’intera area.
La riscoperta di Pompei avvenne solo alla fine del Cinquecento ma fu grazie a Carlo III di Borbone che, a partire dalla metà del XVIII secolo, se ne cominciò l’accurata esplorazione. Da allora, l’esplorazione non si è più arrestata, tanto che non è esagerato affermare che Pompei è uno straordinario “work in progress”.
Il sito archeologico è di dimensioni notevoli e, nonostante non tutti gli edifici siano accessibili, c’è veramente tantissimo da visitare! Per godere appieno dell’”esperienza pompeiana”, è quindi consigliabile affidarsi ad una guida esperta che saprà condurre per mano il visitatore tra case, storie e aneddoti della vita di Pompei.
L’area archeologica di Pompei si estende per circa 66 ettari e gli scavi ne hanno portati alla luce circa 45.
Per ragioni di studio e di orientamento, nel 1858 Pompei venne suddivisa in 9 grandi “regiones” (quartieri), indicate con i numeri romani da I a IX, e ciascuna “regio” fu a sua volta divisa in “insulae” (isolati), anch’esse indicate con i numeri romani.
Il lungo Viale delle Ginestre nella Regio VIII segue il percorso dell’antica cinta muraria che, vista nel suo insieme, assomiglia ad un bastione arroccato sul bordo del pianoro.
A Pompei vi erano diversi luoghi deputati allo svago e al divertimento come, ad esempio, nel Regio VIII dove sorgeva la zona dei teatri. A partire dal II secolo a.C., infatti, Pompei come le città romane dedicarono interi quartieri agli edifici teatrali, spesso sfruttando i luoghi scoscesi e i pendii naturali per addossarvi le gradinate.
Il Teatro Grande fu edificato per la prima volta dai Sanniti ma venne completamente rifatto verso la metà del II secolo a.C., subendo anche successivamente ulteriori rifacimenti secondo il gusto romano. In particolare, in epoca augustea ci fu una ristrutturazione totale sovvenzionata dalla gens Holconia, una delle famiglie più importanti di Pompei.
Quando cominciarono gli scavi del sito archeologico, il Teatro Grande fu il primo grande edificio pubblico ad essere liberato completamente dai depositi dell’eruzione.
Dietro la scena del Teatro Grande si sviluppa un grande quadriportico che circonda un cortile centrale. Questo porticato venne realizzato nei primi anni del I secolo a.C. ed è costituito da 74 colonne doriche in tufo grigio di Nocera.
Il quadriportico aveva la funzione di foyer: qui, infatti, gli spettatori sostavano durante gli intervalli degli spettacoli teatrali oppure trovavano riparo in caso di pioggia. Dopo il terremoto del 62 d.C. l’edificio cambiò funzione e divenne la Caserma dei Gladiatori, utilizzata per gli allenamenti dei gladiatori.
Nel mondo romano le case erano di tre tipologie a seconda del ceto sociale e della ricchezza delproprietario.
La “domus” apparteneva ai ricchi. Era un’abitazione molto grande con spazi per la vita domestica e una zona di rappresentanza dove non mancavano il giardino, spesso ornato con fontane, e uno spazio termale.
Il ceto medio possedeva un’abitazione più piccola composta da un cortile centrale scoperto attorno al quale si aprivano diversi vani e un piccolo orto.
Infine, c’era la “pergula”, una piccola casa di proprietà dei commercianti formata da un vano affacciato direttamente sulla strada e utilizzato come bottega. Sul retro della pergula vi erano piccole stanze utilizzate come magazzini e abitazioni.
Le domus pompeiane spesso vengono chiamate col nome del proprietario ma nei casi in cui questo sia rimasto sconosciuto, agli edifici sono stati dati nomi di fantasia, spesso basati sui ritrovamenti fatti all’interno degli edifici stessi o su particolari circostanze.
Nel Regio I si possono ammirare tantissimi esempi di domus; alcune abitazioni sono accessibili in determinati orari della giornata, ma molte altre non sono invece visitabili. Tuttavia, anche osservando le domus dall’esterno, è possibile farsi un’idea di come vivessero i Pompeiani.
La Casa del Menandro (Reg. I, Ins. X) era la grande dimora di una famiglia benestante di Pompei. Si dice che i suoi proprietari fossero imparentati addirittura con Poppea Sabina, seconda moglie dell’imperatore Nerone. Interessata da complesse vicende edilizie, la casa deve il suo nome al ritratto di Menandro, celebre commediografo ateniese, situato nel portico.
La Casa dell’Efebo (Reg. I, Ins. VII) era una grande dimora composta da un insieme di più case e rappresenta la tipica dimora del ceto medio mercantile, arricchitosi alla fine del I secolo d.C. grazie ai traffici commerciali.
La Casa di Paquio Proculo (Reg. I, Ins. VII) affaccia su Via dell’Abbondanza. La domus era piccola ma disponeva di un grande “peristylium” (peristilio), cioè un cortile circondato da un portico.
In questa casa, risalente al II secolo a.C., probabilmente abitò Publius Paquius Proculus, il “pistŏr” (colui che macina in grano, quindi per estensione il panettiere) diventato duoviro di Pompei. I duoviri erano la coppia di magistrati eletti per sopraintendere ai pubblici uffici o per assolvere delicati incarichi politici e amministrativi.
La Casa del Larario di Achille (Reg. I, Ins. VI) affaccia anch’essa su Via dell’Abbondanza e prende il nome dalla decorazione in stucco presente nel piccolo sacello domestico (piccolo recinto rotondo o quadrato dove era posto un altare). Il “larario” era il posto all’interno dell’antica casa romana riservato al culto domestico dei Lari, gli spiriti protettori che vegliavano sul buon andamento della famiglia, della proprietà e dell’attività.
La Fullonica di Stephanus (Reg. I, Ins. VI) era un impianto produttivo destinato al lavaggio dei panni e alla sgrassatura dei tessuti appena filati. Venne realizzato nella fase finale dell’esistenza di Pompei, trasformando un edificio originariamente adibito a casa.
In corrispondenza dell’incrocio tra Via Stabiana e Via dell’Abbondanza, nella Regio VII, sorge il complesso delle Terme Stabiane; si tratta delle terme tra le più antiche tra quelle conosciute nel mondo romano.
Le Terme Stabiane (Reg. VII, Ins. I) furono costruite intorno al III secolo a.C. in una zona che, probabilmente, all’epoca era considerata periferica. Nel II secolo a.C. subirono un notevole ampliamento e furono oggetto di continui restauri successivi. Le terme raggiunsero il periodo di massimo splendore nell’80 a.C.
Nella Regio VII (Ins. VIII) sorgeva anche il Foro Civile di Pompei che rappresentava il centro della vita quotidiana della città; su di esso si affacciavano tutti i principali edifici pubblici per l’amministrazione della città e della giustizia, per la gestione degli affari, le attività commerciali e i principali luoghi di culto.
L’eredità archeologica dell’antica Pompeii è qualcosa di unico e di valore inestimabile. All’interno del Parco Archeologico di Pompei il tempo si è fermato a pochi istanti prima della drammatica eruzione del 79 d.C.: incredibilmente, la quotidianità dell’epoca è più viva che mai e, con un po’ di immaginazione, si riescono ancora a percepire il rumore delle ruote dei carri che percorrono le strade cittadine, il vociare della gente, i suoni di una città vitale.