Taormina, infinita bellezza
Varchiamo l’ingresso del Teatro Antico e scopriamo che sono in corso le prove di un concerto di musica classica che si terrà nel tardo pomeriggio a sostegno dell’Ucraina, devastata dalla guerra.
Man mano che ci avviciniamo alla cavea la musica si fa sempre più intensa e nel preciso istante in cui ci affacciamo dalla cima della gradinata, ecco che le lacrime cominciano a bagnarmi le guance. Sul palco, i musicisti seduti a semicerchio; una violinista al centro della scena suona un assolo e le sue note fanno vibrare il teatro. Alle sue spalle, tra le colonne secolari, uno degli scenari più suggestivi che io abbia visto finora.
Per me è praticamente impossibile non lasciarmi travolgere dalle emozioni! Ciccio mi osserva con un misto di sorpresa e curiosità negli occhi e, alla fine, a dispetto delle lacrime che mi rigano ancora la faccia, lo guardo e mi metto a ridere: “Non puoi capire”, gli dico ed è vero perché, sinceramente, neppure io riesco a capacitarmi di tutto questo scombussolamento… Questo luogo mi ha davvero colpita al cuore!
La musica finisce e tutti noi visitatori scoppiamo in un fragoroso (quanto meritato) applauso. Ora la visita può cominciare.
Il Teatro Antico di Taormina è forse il monumento più famoso della cittadina siciliana. Secondo per dimensioni solo al Teatro Greco di Siracusa, la costruzione di questo teatro cominciò con ogni probabilità nel III secolo a.C. all’epoca di Gerone II, stratego dell’esercito siracusano e basileus (re) di Sicilia dal 275 al 270 a.C., e per poterlo realizzare furono asportati manualmente oltre 100.000 metri cubi di roccia. In origine fu pensato per ospitare spettacoli drammatici e musicali ma dopo la ristrutturazione e l’ampliamento operati dai Romani, il teatro venne utilizzato per le battaglie navali, i giochi dei gladiatori e le venationes ovvero spettacoli che prevedevano la caccia e l’uccisione di animali selvatici.
L’arrivo dei Vandali segnò il declino del teatro, una parte del quale durante il Medioevo fu riutilizzato per ricavarne un palazzo privato. Il Teatro Antico attirò nuovamente l’attenzione su di sé nel XVIII secolo quando la sua immagine di monumento decaduto attorniato da una rigogliosa vegetazione e con una vista inusuale sull’Etna colpì i ricchi dell’aristocrazia europea impegnati nel lungo viaggio continentale conosciuto con il nome di Grand Tour. Nel 1787, Johann Wolfgang von Goethe visitò il teatro e rimase talmente estasiato dal panorama che si godeva dalla cavea che nel suo “Italienische Reise” (“Viaggio in Italia”) scrisse: “Se ci si colloca nel punto più alto occupato dagli antichi spettatori, bisogna riconoscere che mai, probabilmente, un pubblico di teatro si vide davanti qualcosa di simile. […] Davanti a noi l’intero, lungo massiccio montuoso dell’Etna; a sinistra la sponda del mare fino a Catania, anzi a Siracusa; e il quadro amplissimo è chiuso dal colossale vulcano fumante, che nella dolcezza del cielo appare più lontano e più mansueto, e non incute terrore”.
A partire dagli Anni Cinquanta del secolo scorso il Teatro Antico di Taormina è infine diventato il luogo privilegiato di spettacoli teatrali e concertistici, palcoscenico privilegiato di cerimonie di premiazione e di famose manifestazioni cinematografiche.
Un altro luogo speciale di Taormina è il Parco Trevelyan che oggi è un giardino pubblico e che i Taorminesi sono soliti chiamare “La Villa”.
La storia ci insegna che nel corso dei secoli le popolazioni che passarono per Taormina lasciarono un segno della loro presenza: così è stato per i Greci, i Romani, gli Arabi, i Normanni, gli Spagnoli dei quali la città ancora oggi ci racconta qualcosa. La stessa cosa è accaduta in tempi storicamente più recenti quando Taormina fu scelta come residenza da Florence Trevelyan alla cui figura è indissolubilmente legato l’omonimo parco. Ma chi era questa signora? Nata nel 1852 a Newcastle, Florence crebbe in una famiglia aristocratica e fin da piccola si appassionò al giardinaggio. Dopo la morte dei genitori, Florence viaggiò a lungo in giro per l’Europa e arrivò fino in Sicilia. Accusata di adulterio, per evitare lo scandalo, nel 1884 Florence dovette abbandonare il Regno Unito e decise così di stabilirsi a Taormina dove rimase fino alla morte nel 1907. Sposatasi con Salvatore Cacciola, medico, docente universitario e Sindaco di Taormina, Florence comprò alcuni terreni agricoli e intraprese la creazione di un giardino in stile inglese (da lei chiamato “Hallington Siculo” in ricordo di un parco nel quale trascorse l’infanzia) nel quale collocò specie di piante rare e piccoli edifici fantasiosi chiamati “Victorian Follies”. Dopo la sua scomparsa, il parco venne espropriato nel 1923 e divenne parco comunale.
Questo straordinario polmone verde sorge al limite del centro abitato lungo il bordo di una collina e si presenta come una terrazza affacciata sul Mar Ionio e sull’Etna.
Al suo interno si possono ammirare una incredibile varietà di piante e alberi locali ed esotici, il Monumento ai Caduti della Guerra del 1915-1918, il Monumento dei Marinai d’Italia, il Mas dedicato alla medaglia d’argento al valore militare e perfino un cannone risalente alla Prima Guerra Mondiale.
Durante il giorno le vie di Taormina sono davvero affollate, un pot-pourri di gente proveniente da ogni angolo del mondo. L’aspetto che più mi diverte è senz’altro l’abbigliamento delle persone che incontriamo: si va dalla ragazzina in calzoncini striminziti, canotta e ciabattine da spiaggia, alla coppia in abito elegante che sembra appena sbarcata da un lussuoso yacht, passando per il tipico turista mitteleuropeo in sandali e calzini rigorosamente bianchi.
Nel punto in cui Via Teatro Greco incrocia il caratteristico Corso Umberto sorge Palazzo Corvaja. Alla fine della Prima Guerra Mondiale questo palazzo versava in pessime condizioni ma grazie a un importante restauro oggi è la sede del Museo Siciliano di Arti e Tradizioni Popolari e dell’Infopoint turistico.
Corso Umberto è la via principale di Taormina, piena di negozi, botteghe artigiane, ristoranti e hotel.
Delimitata a nord da Porta Messina e a sud da Porta Catania, la bellezza di questa strada è data dal fatto che su di essa affacciano edifici di epoche e stili diversi, che vanno dal gotico al barocco, dall’arabo al normanno. E tra questi bei palazzi spesso si aprono vicoli inaspettati che regalano scorci davvero suggestivi.
Una passeggiata lungo Corso Umberto fa respirare appieno tutta l’atmosfera mondana del centro storico di Taormina; a catturare la mia attenzione, però, non sono tanto le vetrine patinate delle boutiques ma piuttosto gli oggetti della tradizione siciliana, in particolare le Teste di Moro (o Teste di Turco) che fanno capolino non solo dalle botteghe artigiane ma anche dalle finestre dei palazzi storici! Si tratta di vasi in ceramica dipinti a mano che vengono utilizzati come ornamento e che raffigurano il volto di un Moro solitamente affiancato a quello di una giovane donna.
Un’antica leggenda racconta che intorno al 1100, durante la dominazione dei Mori, nel quartiere Kalsa di Palermo viveva una ragazza bellissima con un incarnato roseo e due occhi color del mare. La fanciulla trascorreva le sue giornate a casa a prendersi cura delle piante del suo balcone. Un giorno passò da quelle parti un Moro che, vedendo la giovane, se ne innamorò immediatamente e, senza perdere tempo, le dichiarò il suo amore. La ragazza lo ricambiò non sapendo, però, che di lì a poco, il Moro avrebbe fatto ritorno in Oriente dove, ad attenderlo, avrebbe ritrovato la moglie e due figli. Accecata dall’odio, la ragazza preparò quindi la sua vendetta; scesa la notte, la ragazza attese che il Moro si addormentasse, lo uccise e gli tagliò la testa che trasformò in un vaso nel quale piantò del basilico e lo pose in bella mostra sul balcone. In questo modo il Moro sarebbe rimasto con lei per sempre. La pianta crebbe rigogliosa e gli abitanti del quartiere, forse convinti che la bellezza del basilico dipendesse (anche) dal vaso, si fecero costruire appositamente dei vasi di terracotta a forma di Testa di Moro! I mariti siciliani sono avvisati…
Tra una bottega artigiana e un “esercito” di cannoli schierato nella vetrina di una pasticceria Ciccio ed io arriviamo in un altro luogo simbolo di Taormina ovvero Piazza IX Aprile, considerata il salotto buono della città.
In termini di bellezza e fama, credo che si contenda il primato con la Piazzetta di Capri (L’isola di Capri: natura e mondanità). Per quanto mi riguarda, è davvero difficile dire quale delle due sia la più suggestiva anche se il panorama che si gode dalla sua balconata è di quelli da togliere il fiato.
Il nome di Piazza IX Aprile ricorda la data del 9 Aprile 1860 quando, durante la celebrazione della Messa nel Duomo di Taormina, si sparse la voce dello sbarco di Garibaldi a Marsala. La notizia era ovviamente falsa (lo Sbarco dei Mille sarebbe avvenuto circa un mese dopo, l’11 Maggio 1860) ma i Taorminesi vollero ricordare ugualmente quella data e intitolare alla causa risorgimentale la piazza più bella della loro città.
Proprio come succede a casa quando arrivano ospiti, anche Taormina accoglie i visitatori nel suo elegante salotto, li mette a proprio agio e offre loro alcuni dei suoi pezzi migliori.
Siccome la cultura mette appetito e l’orario è quello giusto per una sosta golosa, Ciccio ed io ci guardiamo attorno e in men che non si dica usciamo sorridenti da una gelateria con le due brioches ripiene di gelato (brioches rigorosamente con il “tuppo”!) più grandi che io abbia mai visto! Intercettata l’unica panchina vuota ombreggiata (un vero colpo di fortuna!), ci godiamo il gelato più buono di sempre circondati dalle innumerevoli bellezze di Piazza IX Aprile.
Innanzitutto, il belvedere che abbraccia il panorama tanto amato dal diplomatico e scrittore francese Roger Peyrefitte che qui soggiornò a lungo.
La ex Chiesa di Sant’Agostino e l’adiacente convento, edificata nel 1486 in onore di San Sebastiano per avere liberato la città dalla peste.
La Chiesa di San Giuseppe che “troneggia” sulla piazza. Costruita nella seconda metà del Seicento, questa chiesa è in stile barocco e si trova in cima ad una maestosa scala a doppia rampa che conduce al sagrato.
Al limitare di Piazza IX Aprile svetta la Torre dell’Orologio, conosciuta anche con il nome di Porta di Mezzo perché si trova tra Porta Catania e Porta Messina. Antico accesso al borgo medievale, questa torre fu costruita nel 1100 utilizzando il basamento di una preesistente costruzione muraria difensiva risalente al IV secolo a.C.
Dopo la piacevolissima sosta “gastronomico-culturale”, Ciccio ed io percorriamo l’ultimo tratto di Corso Umberto e raggiungiamo il Duomo cittadino ovvero la Chiesa di San Nicola di Bari, costruita sulle rovine di una chiesa preesistente nel XIII secolo. La facciata in pietra è decisamente austera e la sua combinazione con la merlatura che corre lungo la parte alta la fa apparire più come una fortezza che come un luogo sacro.
Ritorniamo sui nostri passi e ci fermiamo ancora qualche istante in Piazza IX Aprile. Mi affaccio un’ultima dalla terrazza a rimirare il panorama. Non so neppure io il motivo ma, nonostante la folla di gente, io mi sento in pace con il mondo. Sarà la magia di Taormina, un luogo meraviglioso che guarda verso un orizzonte che pare infinito.