Sardegna, archeologia industriale e mitologia
Una bellissima strada panoramica, che si snoda tra la macchia mediterranea e ripide pareti di roccia a strapiombo sul mare, ci ha condotto in un luogo in cui il tempo si è fermato a oltre cinquant’anni fa… Siamo all’Argentiera!
Piccola frazione dell’immenso territorio del comune di Sassari (siamo a oltre 40 Km dal capoluogo sardo), l’Argentiera fa parte del Parco Geominerario Storico Ambientale della Sardegna, un territorio di 3800 Km quadrati suddiviso in 8 Aree(l’Argentiera corrisponde all’Area 4) che costituisce uno dei parchi nazionali più estesi ed eterogenei di tutta Italia: luogo suggestivo, incastonato in una splendida cornice di pietre color argento e acque cristalline, oltre che dal punto di vista naturalistico, l’Argentiera è però interessante anche sotto un altro aspetto. Principale distretto estrattivo della Sardegna del nord, il sito dell’Argentiera è attualmente considerato un suggestivo esempio di “archeologia industriale” sull’isola.
Della florida borgata che era un tempo, oggi non è rimasto che un villaggio fantasma! Infatti, in questo angolo nascosto di Sardegna, dove perfino la strada finisce, nel 1867 venne aperta una miniera per l’estrazione dello zinco e della galena (minerale noto anche con il nome di piombo argentifero per la presenza di argento), miniera che rimase in funzione fino alla fine del 1962 quando l’attività estrattiva cessò completamente con il conseguente abbandono degli impianti e della maggior parte delle abitazioni. L’antico passato è ormai racchiuso nella struttura lignea della laveria, lo stabilimento specializzato nella lavorazione del minerale grezzo, in quella del Pozzo Podestà e in alcuni fabbricati.
Costruita in cima ad un promontorio, in una posizione molto scenografica, svetta la piccola Chiesa di Santa Barbara, edificata nella prima metà del Novecento secondo gli schemi del razionalismo fascista: l’edificio è una delle numerose “chiese di miniera” della Sardegna, la maggior parte delle quali sono dedicate a Santa Barbara, patrona dei minatori.
La spiaggia del villaggio è Cala dell’Argentiera, un tempo usata per caricare i minerali sui battelli: la cala è formata da due spiagge semicircolari separate tra loro da una piccola scogliera ed è caratterizzata da sabbia grossa e grigia per via delle polveri minerali che la compongono. Poco distante, si trova Porto Palmas, una mezzaluna di sabbia più chiara protetta da basse scogliere.
All’Argentiera tutto ricorda un’epoca mineraria ormai lontana, forse in parte dimenticata, uno strano luogo dove si viveva e si lavorava “isolati” dal resto del mondo.
Negli anni c’è però chi ha saputo percepire e catturare l’unicità di questo luogo trasformandolo in uno sfondo cinematografico perfetto: è il caso della pellicola hollywoodiana “La scogliera dei desideri” (titolo originale: Boom!) del 1968 con Elizabeth Taylor e Richard Burton o dell’italiana “Chiedo asilo” con Roberto Benigni, vincitore dell’Orso d’Argento al Festival Internazionale del Cinema di Berlino del 1979.
Osserviamo le scure sagome dei ruderi affacciarsi sul mare turchese e ascoltiamo il vento insinuarsi tra le rovine e creare strani suoni a tratti un po’ inquietanti… Ci lasciamo alle spalle l’Argentiera e ci immergiamo nel brullo entroterra sardo: la strada corre nella campagna dove, vista la stagione, il colore dominante è il giallo. Il sole cocente ha infatti imbiondito l’erba dei campi e le sterpaglie e solo qualche cespuglio della macchia mediterranea sembra aver resistito “eroicamente” alla calura.
Una ventina di chilometri più a sud incontriamo il Lago di Baratz, l’unico bacino naturale d’acqua dolce della Sardegna formatosi a seguito dello sbarramento da parte di una duna sabbiosa dei corsi fluviali del Rio dei Giunchi e del Rio Cuile Puddighinu.
Il lago di Baratz non ha emissari e la profondità delle sue acque è più o meno stabile (circa 6 metri): ciò si spiega con la permeabilità del fondale sabbioso. Purtroppo, però, la sopravvivenza di questo bacino è continuamente minacciata dalla scarsità di piogge e soprattutto dai prelievi idrici per l’agricoltura. Negli ultimi anni l’attenzione nei suoi confronti è per fortuna cresciuta in quanto ci si è resi conto di come il Lago di Baratz rappresenti un prezioso luogo di biodiversità: aironi rossi, martin pescatori, testuggini d’acqua dolce e germani reali popolano il lago e i dintorni dove cresce rigogliosa la macchia mediterranea con le profumatissime piante di corbezzolo, mirto e rosmarino.
Per raggiungere le sponde del lago, Ciccio ed io ci incamminiamo nella bellissima e lussureggiante pineta dove il frinire delle cicale ed il “profumo della Sardegna” sono amplificati da un incredibile quanto piacevole silenzio…
In un tempo lontano, proprio nel punto in cui oggi si trova il lago, sorgeva l’antica città di Barax. I suoi abitanti erano gente avida, corrotta, dedita a una vita dissoluta, e per questo motivo un giorno Dio decise di punirli. Così, una notte, assunte le fattezze di un innocuo vecchietto, Dio si presentò a una giovane donna alla quale raccomandò di abbandonare al più presto la città: “Scappa!” le disse, “Non ti fermare e non voltarti mai indietro!”. La ragazza ascoltò il consiglio dell’anziano e si mise in fuga ma proprio mentre stava abbandonando la città, udì un boato talmente forte che si voltò un’ultima volta: a quel punto, la giovane fu immediatamente pietrificata e la roccia da lei originata venne sommersa dall’acqua insieme all’intera città di Barax e ai suoi abitanti. Una leggenda che unisce il mito della scomparsa di Atlantide a quello di Orfeo ed Euridice.
Mentre Ciccio ed io ci godiamo il panorama dalla riva del lago, incorniciata da canneti, tamerici e ginepri, non posso fare a meno di pensare che, chissà, magari nascosta dall’acqua e dal limo si nasconde veramente l’antica Barax…
Un fatto storicamente certo però esiste: durante la Seconda Guerra Mondiale, infatti, la zona del Lago di Baratz fu strategicamente rilevante per l’esercito tedesco che qui pose le proprie basi. Quando però gli uomini di Hitler dovettero ritirarsi velocemente, non poterono portare con sé né armi né attrezzature e, per impedire che finissero nelle mani degli Alleati, le gettarono nel lago. Solo nel corso degli Anni Novanta, la diminuzione del livello di acqua nel bacino ha svelato la presenza di alcune bombe tedesche all’interno del lago, successivamente ripulito e bonificato.
La bella giornata e la temperatura piacevole ci spingono a proseguire nella scoperta di questo angolo di Sardegna: Porto Ferro è a portata di mano e sarebbe davvero un peccato non raggiungerlo!
Chiusa tra Capo Caccia e Punta Argentiera, la baia di Porto Ferro è una profonda insenatura che racchiude una meravigliosa spiaggia lunga circa 2 chilometri la cui sabbia ha un sorprendente colore giallo-rossastro.
Delimitata da scogli e rilievi di trachite rossa, la spiaggia di Porto Ferro è “sorvegliata” da alcune torri di avvistamento spagnole risalenti al Seicento, costruite per proteggere la costa dalle invasioni saracene.
In corrispondenza della torretta posta in cima al promontorio, il panorama che si apre davanti ai nostri occhi lascia senza parole!
Lungo la strada per Alghero (Stintino ed Alghero: a spasso tra natura e storia!) Ciccio ed io abbiamo incrociato decine di volte le indicazioni per Fertilia, ripromettendoci sempre di farci una capatina ma senza mai riuscirvi: ecco finalmente arrivata l’occasione giusta per una breve visita!
Fertilia è una frazione della ben più celebre Alghero. Il borgo fu fondato nel 1936 dall’Ente Ferrarese di Colonizzazione istituito dal regime fascista nel 1933 col compito di insediare in Sardegna il maggior numero possibile di famiglie originarie della provincia di Ferrara: il fine ultimo del progetto avrebbe dovuto essere quello di bonificare l’area paludosa della Nurra e aumentarne la densità abitativa in modo da creare le basi per lo sviluppo dell’economia produttiva della zona. Dopo i primi arrivi degli emigrati ferraresi, però, lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale decretò la fine dell’opera di colonizzazione.
Nel dopoguerra Fertilia venne popolata dagli esuli di Dalmazia e Istria che terminarono la costruzione della borgata e che, ancora oggi, costituiscono una fetta importante dei suoi abitanti: non è un caso, quindi, che la comunità di Fertilia abbia tradizioni linguistiche proprie (come accaduto per quelle catalanofone della vicina Alghero), così come non deve stupire il fatto che la borgata sia stata dedicata a San Marco e che il suo simbolo sia un leone alato, posto proprio al centro del belvedere cittadino. Un’altra particolarità di Fertilia è che le sue vie e le piazze richiamano luoghi o avvenimenti storici del Veneto e della Venezia Giulia.
Devo ammettere che, nonostante non ci sia nulla di particolarmente attrattivo, l’atmosfera che si respira a Fertilia è davvero particolare.
La Sardegna ha dimostrato ancora una volta di non essere soltanto un’isola circondata da un mare di straordinaria bellezza e dominata da una natura possente, ma di possedere un patrimonio storico pressoché sconosciuto che merita decisamente di essere scoperto e approfondito.